Amnesia Digitale

La rivoluzione digitale degli ultimi decenni sta attirando l’attenzione di ricercatori ed
esperti sui cambiamenti che essa implica sul comportamento umano e sul
funzionamento mentale.
È indubbio che l’uso diffuso della Rete e delle Nuove Tecnologie rappresenti una grande
risorsa. Gli esempi sotto gli occhi di tutti sono la mole di informazioni raggiungibili in
tempo reale con un semplice click, o la possibilità di memorizzare grandi quantità di dati
sui dispositivi digitali, attività che facilitano l’uomo dell’era multimediale anche nelle più
semplici attività quotidiane.

Ma tutto ciò sta modificando la mente umana? E come?

Da interrogativi sulle possibili influenze dell’uso della New Tech sui processi cognitivi, come memoria e apprendimento, nasce il concetto di Amnesia Digitale, recentemente
esplorato da Kaspersky Lab (2015, 2016) su un campione di 6000 persone circa.
Nello specifico, tale fenomeno si riferisce alla tendenza a dimenticare informazioni,
favorita dall’utilizzo di dispositivi digitali come estensione della memoria umana. È
ipotizzabile che delegare l’immagazzinamento di dati a supporti tecnologici stia
cambiando i processi mnestici di ritenzione e recupero di informazioni.
Al giorno d’oggi, sempre più spesso si affidano svariati contenuti ai device, per cui si
suppone che, congiuntamente ai cambiamenti nelle abitudini ordinarie,
l’informatizzazione stia comportando un mutamento nell’uso della memoria umana.
L’Amnesia Digitale, secondo i ricercatori, è legata all’Effetto Google (Sparrow, 2011),
riferito all’immediatezza di trovare e categorizzare elementi semplicemente digitando
parole chiave sul motore di ricerca. Pare che le persone stiano diventando sempre più
abili a ricordare dove hanno trovato l’informazione piuttosto che a richiamarne il
contenuto. Si pensa che questo avvenga poiché il nostro cervello tende alla
dimenticanza di ciò che è agevolmente rintracciabile su un dispositivo. Questo
fenomeno è favorito dal fatto che la mente, confidando in memorie esterne, attua una
sorta di economia cognitiva, ovvero impiega un minor sforzo rispetto ai tradizionali
processi di apprendimento e memorizzazione. Tra le evidenze emerse dallo studio
sopracitato, infatti, sembra esserci un collegamento diretto tra la disponibilità immediata dei dati, affidati agli strumenti tecnologici, e il mancato impegno nelle
attività mnemoniche degli individui.
In tale ottica, si parla di memoria transattiva: Internet si può considerare una sorta di
deposito esterno al cervello umano che memorizza le informazioni e al quale ci si affida
quando si ha bisogno di recuperarle (Wegner, 1995). Ciò sembra che porti le persone a
fare meno affidamento sulle proprie conoscenze e capacità mnestiche, rendendole
meno abili nel creare nuovi ricordi. A tal proposito, alcuni ricercatori hanno ipotizzato
che l’accesso alla Rete possa rendere il cervello un muscolo non allenato (Keen, 2015) e
l’uso degli Smartphone possa mediare un rallentamento cognitivo (Carr, 2010).
In breve, sembra che affidarsi alla tecnologia stia comportando una sorta di pigrizia
mentale.
Inoltre, la plasticità neuronale fa sì che il cervello si adegui facilmente a nuove situazioni
adattandosi a nuovi strumenti (Ghosh, 2016): l’utilizzo della New Tech può influenzare il
modo in cui si cercano, elaborano e memorizzano le informazioni (Ferguson et al.,
2015), modificando così anche la rete neuronale.
Dunque, sembra che il funzionamento cerebrale si stia adeguando all’uso dei nuovi
mezzi tecnologici.


Tutto ciò apre nuovi interrogativi:

  • la trasformazione digitale sta sviluppando un nuovo
    modo di processare le informazioni, semplicemente diverso da quello a cui siamo
    abituati, o verte verso aspetti peggiorativi delle performance cognitive?
  • Come ne risentono memoria e apprendimento dei nativi digitali?
  • Vi sono differenze considerabili come disfunzionali rispetto alle generazioni precedenti?
  • Stanno nascendo nuove skills che integrano il mondo digitale con il funzionamento
    mentale, migliorando la qualità di vita?

Stay Connected è diventato uno status integrante della vita, per cui questi ed altri quesiti spingono verso la ricerca di ulteriori approfondimenti empirici, nell’ottica di rendere l’uso dei dispositivi un supporto sano alle attività degli individui, andando oltre i pregiudizi.

 

Bibliografia

– Carr,N. (2010). The Shallows: How the Internet is changing the way we think, read and remember. Atlantic, London
– Castello, V., Pepe, D., (2010). Apprendimento e nuove tecnologie. Modelli e strumenti. Franco Angeli, Milano
– Dong, G., & Potenza, M. (2015). Behavioral and brain responses related to Internet search and memory.  European Journal of Neuroscienze, 42,2546- 2554
– Ferguson, M., McLean, D., Risko, F. (2015). Answers at your fingertips: Access to the Internet influences willingness to answer questions. Consciousness and Cognition, 37, 91-102
– Ghosh, A., Balerna, M. (2016). Neuronal control of the fingertips is socially configured in touchscreen smartphone users. Bio Rvix. – Greenfield D.N., Davis R.A. (2002). Lost in cyberspace: the web @ work. Cyberpsychology Behavior, 5(4), 347-53
– Keen, A. (2015). The Internet Is Not The Answer. Atlantic Books, London. Global Media Journal.
– Riva, G. (2014). Nativi digitali. Crescere e apprendere nel mondo dei nuovi media. Il Mulino, Bologna
– Small, G.W., Moody, T.D., Siddarth, P. & Bookheimer, S.Y. (2009). Your brain on Google: patterns of cerebral activation during internet searching. A. J. Geriat. Psychiat. 17, 116-126
– Sparrow, B., Liu, J., & Wegner D.M. (2011). Google Effects on Memory: Cognitive Consequences of Having Information at Our Fingertips.  Science 333 (6043), 776-778
– Spitzer, M. (2013). Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi. Corbaccio, Milano.
– Ward, A.F. (2013). Supernormal: How the Internet Is Changing Our Memories and our Minds.
International Journal of the Advancement of PsychologicalTheory, 23.