Fagofobia: la paura di inghiottire

Fagofobia_ la paura di inghiottire (1)

Cos'è la fagofobia?

Dal greco φαγεῖν “mangiare” e φόβος “paura“, è una fobia specifica legata ad un intenso timore di deglutire e ingerire cibi. È una disfagia psicogena che può essere connessa alla paura del soffocamento da deglutizione, anche detta anginofobia, o alla pnigofobia (o pnigerofobia), cioè la paura di strozzarsi con cibo o altri oggetti (ad esempio lenzuola), benché differisca da queste ultime per il preciso stimolo fobico.

Come si manifesta?

Chi ne è affetto vive un profondo stato di apprensione rispetto al momento in cui deve alimentarsi, a causa del presunto rischio di soffocamento. 

Può presentare sintomi somatici e fisici, come aumento delle frequenze cardiaca e respiratoria, mal di testa, vertigini, nausea, dolori allo stomaco, tensione muscolare, sudorazione o sensazione di mani e piedi freddi, fino a sfociare in veri e propri attacchi di panico. 
Per tali motivi, la persona tende a mettere in atto soluzioni comportamentali disfunzionali come l’evitamento, ovvero, nel caso specifico, sottrarsi al pasto o non ingerire categorie selezionate di alimenti. Ciò può avere conseguenze anche gravi sulla salute fisica. 

Quali sono le cause?

I fattori scatenanti la fagofobia possono essere molteplici e concatenati. 

Le cause, infatti, possono essere sia evidenti e facilmente rintracciabili – come ad esempio un’esperienza negativa durante un pasto vissuta di persona o di cui si è stati testimoni – oppure avere un’origine più profonda, inconsapevole e radicata nella persona. Inoltre, possono essere presenti altri disturbi in comorbidità come un disturbo d’ansia generalizzato, disturbo da attacchi di panico e/o disturbi alimentari

In aggiunta, bisogna considerare che l’ansia sperimentata subito prima o durante i pasti potrebbe comportare un aumento della tensione muscolare. Tale tensione può riguardare anche i muscoli della gola, che quindi sono portati a contrarsi  dando la spiacevole sensazione di “nodo alla gola”. Questa attivazione muscolare, anche se  innocua, rende fisicamente la deglutizione più difficoltosa. Questo comporta un vero e proprio circolo vizioso difficile da interrompere: il timore di soffocare genera contrazioni muscolari che ricordano la stretta alla gola, che a sua volta fa aumentare la paura di soffocare.

Quali sono le conseguenze?

Le conseguenze possono essere di bassa, media ed elevata entità. 

Nei casi più lievi, il soggetto ingerisce esclusivamente cibi morbidi e liquidi. Nei casi gravi, invece, l’ansia anticipatoria rispetto alla deglutizione porta all’eliminazione di intere categorie di alimenti, alterando la salute fisica.

L’evitamento dell’ingestione di cibo può comportare malnutrizione con importanti carenze nutrizionali perdita di peso, quindi ad esempio:

  • debolezza  e riduzione della massa muscolare
  • affaticamento
  • mancanza di concentrazione e memoria
  • mancanza di energie
  • irritabilità
  • apatia
  • vertigini
  • anemia
  • indebolimento di capelli, unghie, ossa
  • ipotermia

Talvolta, la paura può essere così pervasiva da manifestare sintomi somatici anche solo pensando al cibo. 

Alcune persone, per alleviare l’agitazione, provano a distrarsi durante il pasto in svariati modi: guardando la TV, ascoltando musica, bevendo sorsi d’acqua ad ogni boccone, ecc.

Quali sono le soluzioni?

E’ doveroso fare una premessa per capire come la sintomatologia fobica scaturisca e venga alimentata dal modo in cui la persona reagisce agli eventi e da ciò che mette in atto per evitare la paura. 

Vediamo, come esempio pratico, un caso di esperienza traumatica diretta.

Mario è a cena con amici. Mentre ingoia un boccone succulento di pollo arrosto, Carlo, il mattacchione del gruppo, fa un’esilarante battuta. Mario sente l’impulso irrefrenabile di ridere proprio in quel momento: il bolo improvvisamente ostruisce le vie respiratorie di Mario che, per qualche istante, vive la sensazione di impossibilità respiratoria e impotenza. Carlo interviene immediatamente dando due colpi decisi sulle spalle di Mario che riesce finalmente a deglutire. Tutti continuano a ridere, divertiti anche da ciò. Mario, tuttavia, è scosso. L’intensa paura vissuta lascia una traccia nel malcapitato. Nei giorni a seguire inizia ad evitare i cibi più solidi per paura che l’evento spiacevole si ripeta. 

Il comportamento di evitamento ha la funzione di abbassare la paura e tutte le sensazioni sgradevoli ad essa connesse, e “sembra” essere momentaneamente efficace: in questo caso, la persona si sente più serena se gusta solo cibi morbidi o liquidi. Purtroppo però, questo meccanismo è solo una soluzione disfunzionale, ovvero il tentativo di uscire da una difficoltà comporta l’incremento del problema. Infatti, più si eviterà di mangiare vivande consistenti e più si avrà paura anche solo all’idea di assaggiarne. 

Questo avviene perché le cosiddette tentate soluzioni fallimentari (ciò che la persona fa nel tentativo di uscire da una difficoltà) sono percepite al momento come “miglior soluzione possibile” ma sono, in realtà, inefficaci nel lungo periodo. Se vengono reiterate nel tempo, strutturano e peggiorano il disagio invece di risolverlo. 

Tornando all’esempio, in Mario ora sono ricorrenti dei pensieri ossessivi legati al cibo e al pasto, che da occasione piacevole e di socialità, è divenuta motivo di terrore (intensa ansia rispetto a ciò che potrebbe accadere a seguito della deglutizione). Questa ideazione ossessiva spinge Mario ad aumentare il controllo rigido sugli alimenti generando importanti carenze nutrizionali. 

E’ per questo che, secondo un modello di intervento applicato, è necessario intervenire nel qui ed ora, al fine di fornire un’immediata risposta funzionale al paziente che vive tale condizione.

Nell’esempio abbiamo visto come le reazioni disfunzionali di evitamento rappresentino l’incipit di un circolo vizioso patologico che mantiene e alimenta la fobia anziché alleviarla. 
Per questo motivo bisogna affidarsi ad un esperto che:

  • indaghi a fondo le cause della fobia specifica;
  • indaghi il funzionamento della persona rispetto al problema;
  • indaghi pensieri, emozioni e comportamenti disfunzionali;
  • approfondisca eventuali distorsioni cognitive;
  • applichi tecniche di ristrutturazione cognitiva;
  • intervenga e prescriva tecniche di esposizione mirate e personalizzate.

A tal proposito,  e per tutte le tipologie di fobie, l’approccio cognitivo comportamentale è quello d’elezione: in letteratura vanta la più alta efficacia di trattamento.

Bibliografia

Sassaroli S. (a cura di), Roberto Lorenzini (a cura di), G. M. Ruggiero (a cura di), 2006. Psicoterapia cognitiva dell’ansia. Rimuginio, controllo ed evitamento.